In principio era il caos, Roberto Tresin lo ha rappresentato con una sorta di puzzle: un reticolo su cui l’occhio si smarriva. Poi ecco apparire una serie di pupazzetti, quasi ritagliati sulla carta.Era (ben lo si capisce oggi) l’omologazione dell’umanità: il trionfo della clonazione. La pittura appariva rigida, quasi carta geografica della condizione esistenziale della nostra società. Ma quella era solo la base di partenza. Tresin, da programmatore informatico, sapeva che la mira era un’altra: raggiungere un equilibrio tra l’uomo e la macchina, tra la libertà dell’individuo e la struttura tecnologica. Ecco che allora si sono inserite sulla tela memorie lontane: un torneo di cavalieri , due ballerine, un aquilone, un giocoliere, alcune sfere sospese. Era l’irrompere della dimensione della fantasia. Essa nasceva dal computer, nel senso che Tresin, partendo da cerchio, lo espandeva e lo deformava fino a farlo assumere sembianze umane. Le figure bianche hanno preso con un lieve chiaroscuro una consistenza plastica. Ad un certo punto il puzzle è scomparso, proprio per l’irruzione dell’ atmosfera, è quindi tornato, ma in una dimensione e con significati diversi. La mediazione della mente ha finalmente raggiunto un suo punto di sutura. La pittura è diventata parlante. Questo, in sintesi, il percorso compiuto da Tresin nel giro di poco più di un anno. Dopo varie esperienze ( ed un successo prima con i dipinti di paesaggio, poi con un’interpretazione pop ) il pittore monselicense ha raggiunto una sua autonomia espressiva.
E’ riuscito, cioè, a far quadrare quello che era per lui ma è per tutti, in senso lato il significato della comunicazione visiva. Nei nuovi dipinti c’è la dialettica dei contrasti così tipica del nostro sistema; il positivo e il negativo, la razionalità e l’irrazionalità, l’uomo e la macchina, la programmazione tecnologica e la libertà della fantasia . Lo si percepisce nel tessuto, così vibratile, della pittura. Il disordine iniziale non è più tale: è corretto (controllato) dalla mente.
La memoria storica affiora dallo schema informatico: c’è spazio per l’avventura dell’immaginazione, per lo slancio verso una creazione artistica. L’aquilone si alza nel cielo. Il caso di Tresin non riguarda soltanto la pittura in sé. Essa si segnala sì per le sue qualità estetiche, per l’originalità delle forme e dei colori, ma anche per i suoi significati simbolici. In un certo senso diventa una metafora della condizione dell’uomo: del suo sforzo di aprirsi un varco di libertà nel condizionamento del sistema. Proprio avvalendosi della programmazione col computer e delle sue straordinarie possibilità, Tresin ha dimostrato che l’equilibrio tanto agognato della cultura d’oggi può essere raggiunto. Nei suoi quadri c’è impianto razionale, quasi matematico, e nel contempo c’è fantasia memorativa che porta lontano. Naturalmente occorre uno sforzo per superare la frammentazione ( il puzzle ) dell’esperienza: ma poi il volo dell’aquilone ondeggia sereno nel cielo e le battaglie dei tornei medioevali vengono riportate, con serena consapevolezza, ai contrasti del nostro tempo. La reductio ad unum , vagheggiata nel Rinascimento da Luca Pacioli, e lì, ad un passo: basta aggiustare il nostro sguardo ( e aguzzare la nostra mente ). Il caos, cioè la nevrosi, è dietro le spalle.
2000 – Paolo Rizzi
Conferenza dibattito del Prof.Paolo Rizzi, aperta ai cittadini e alle scuole L’arte è stata da sempre misura della società e tramite essa noi possiamo risalire alla mentalità e ai gusti dominanti in ogni epoca. Se è dunque vera questa corrispondenza fra arte e società, quale arte può rappresentare la nostra società contemporanea? A questa domanda hanno dato un’esauriente risposta il pittore e programmatore di computer Tresin e il professor Rizzi, critico d’arte del ‘Gazzettino di Padova’, nel corso di una conferenza svoltasi nell’ambito della mostra tenuta da Tresin stesso in Sala San Rocco e organizzata dalla Pro Este, alla quale hanno partecipato con vivo interesse classi del Liceo G.B.Ferrari e dell’Istituto d’arte A.Corradini. L’arte del nostro secolo, dice il professor Rizzi, si è servita degli strumenti più disparati: Ricasso ha usato il collage, Burri, nel secondo dopoguerra, non si serviva più della pittura, ma incollava sulla tela stracci e sacchi, Fontana, dopo lo sbarco dell’uomo sulla luna, tagliava e strappava la tela per rappresentare spazi nuovi ed illusori. Nel 2000 Tresin si serve dello strumento emblema della società contemporanea: il computer. Egli parte, infatti, da elaborazioni a computer di forme di cerchio e le ripropone dipingendole su tela. Certo , qualcuno potrebbe obiettare che questa non è arte e, sicuramente il computer non è arte; esso può essere, però, una rielaborazione, attuata dalla fantasia del pittore, di temi dettati da questo strumento. Quello che il professor Rizzi vuole affermare e che Tresin ha esemplificato nei suoi quadri è in sostanza questo: l’artista contemporaneo può e vuole mettere a confronto scienza e fantasia, razionalità ed irrazionalità, programmazione tecnologica e libertà della fantasia. E questo è solo l’inizio: a quali risultati potrà portare in futuro questo utilizzo della tecnologia nell’arte.
2000 – Luigia Businarolo
Arte, programmazione e fantasia nelle opere di Roberto Tresin
Dopo un percorso figurativo che ha messo in luce gli aspetti della vita contadina e la breve, quanto discreta, citazione della Pop Art; periodi nei quali Roberto Tresin ha acquisito una libera visione della sua poetica, accendendo un istinto liberatorio che lo ha condotto ad usare nuovi colori, e ad aprirsi verso nuove interpretazioni, l’artista si avvicina al computer e, contemporaneamente a questo contatto che potremmo definire quasi fisico, all’idea che gli cresce dentro. Oggi tutto ciò che è rappresentato è legato all’immagine e che questa si concretizzi materialmente oppure concettualmente sotto forma di metafora che accarezza i secoli, non può eludere il rapporto esistente tra arte digitale e pittura. Un rapporto appena nato, pressoché sconosciuto, ma certamente individuabile e pronto a trasformarsi in mille diramazioni. Le figurine che formano i primi puzzle sono senz’altro ricordi ludici dell’infanzia quali il meccano o i primi robot di latta. Il suo è un ricorrere alla macchina per ripercorrere le tradizioni, per rivederle attraverso una lanterna magica particolare, ricca di mistero fascinoso; ma i ricordi sono anche enigmi che si forgiano all’interno di una officina informatica, forme nuove che assumono la cifra del sistema di numerazione binaria e vengono elaborate non solo formalmente, ma temporalmente, esprimendo con colori dai toni ora freddi, ora caldi, la condizione simbolica della società attuale.
La sua più che una contestazione è un confronto, più che una proposizione è una percezione. Forse, la poetica di Tresin potrebbe essere riassunta con un semplice: Vedo, vivo, faccio dove il Vedo rappresenta il materializzarsi dell’idea, il Vivo la sua elaborazione al computer, il Faccio la realizzazione col pennello. Un concetto, dunque, che dopo essere stato elaborato si trasforma in stampa, viene reinterpretato e diventa quadro. E’ esattamente il contrario di ciò che viene espresso attraverso l’arte digitale. Tresin usa il programma come un taccuino, lo riempie di schizzi come facevano i pittori del settecento nei grandi Tours, poi tra le pareti del suo studio dà sfogo alla sua inventiva, alla sua fantasia. La fantasia. E’ forse la componente più interessante che emerge dal lavoro dell’artista. La sua pittura va letta lentamente, per non lasciar sfuggire alcuna sfumatura. Nelle composizioni dove è rappresentata una figurazione quasi infantile, le forme elementari assumono l’aspetto di bambini, di nuvole, di oggetti (fili, aquiloni) che si delineano con una leggerezza apparente nel paesaggio circostante.
Perché apparente. Perché quell’effetto puzzle-meccano diventa pregnante, protagonista centrale di tutto il dipinto. E’ quasi un’armatura dal contorno grigliato che però non ingabbia, anzi, scava quella via di fuga che simbolicamente può essere rappresentata dal filo legato all’aquilone che si libra leggero nell’aria. Ma quell’aquilone assume anche la forma di libro volante, sapienza che si eleva verso nuvole con la funzione di essere poi riversata sotto forma di pioggia. Ancora, nello sfondo, i motivi geometrici si fanno meno grintosi per lasciare spazio alla figura. Una figura che è sempre in movimento, intenta all’azione. Non è un caso che molte di queste rappresentazioni siano svolte attorno al tema specifico dello sport. In alcuni casi possiamo notare la citazione del gioco della palla e dell’altalena; in altri, subentrano attività sportive più delineate: il golf, il ciclismo, la pallacanestro, ma tutte sono al di fuori della competizione. Sono dimostrative, educative, prettamente ludiche. Poi il gioco fantasioso si trasforma in danza. Una danza che non è legata esclusivamente all’azione, ma che si esprime col pensiero. Ecco allora che nascono le fiabe, sintesi di un’immagine esteticamente pura. Una cena, un concertino rammentano struggimenti amorosi, ma regalano anche percezioni di poesia, di serenità. Anche i guerrieri che incontriamo in alcune tele non combattono, danzano. La rabbia che hanno dentro viene ripulita come il cattivo testo in un file, il male viene riconvertito in bene. E per quanto il lavoro sia ricco di citazioni, ( la sfera come omaggio al classicismo greco, il ricorso ai quattro elementi primari per evidenziare la centralità dell’uomo, la sua energia) il pittore non rifugge da quello sperimentalismo che lo pone in una posizione di avanguardia. Ecco allora che gli sfondi perdono il loro valore ornamentale per diventare opere a se stanti. Giochi di colore, astrazioni, dove la materia diventa spessa, il segno più geometrico. E’ l’abbandono del meccano per il computer, la trasformazione della fiaba in poemetto filosofico.
2001 – Guido Signorini
Segni e simboli nel colore
Uno degli scopi che si prefigge un artista è quello di trasformare il mondo con i mezzi dell’arte. Nella pittura di Roberto Tresin questo avviene per gradi e attraverso una ricerca mai paga di se stessa, sempre alla scoperta di nuovi lidi cui approdare e da cui ripartire. Il nuovo per Tresin non è provocazione, né trascendente bisogno di assoluto. E’ semplicemente saper vedere dentro la realtà dei nostri tempi con uno sguardo aperto e libero, ma anche capace di non dimenticare i valori e le conquiste spirituali del passato.
Tresin si lascia guidare anzitutto da un’istintiva sensualità del colore, che diventa l’anima stessa delle sue opere, in grado di trasmettere emozioni e di essere esso stesso pura emozione. Tutti i colori trovano una loro sapiente orchestrazione, ma forse tra tutti la nota dominante è quella del blu, nella cui profondità è amabile perdersi e attraverso il quale si manifestano i processi di conoscenza e di indagine interiore. Mediante il colore nel quale possono rivelarsi timidamente le voglie e le paure dell’essere e dell’apparire Tresin propone una personale interpretazione del mondo contemporaneo, messo letteralmente in scena con i caratteri del gioco e dell’ironia.
Le sue tele si animano di presenze, icone dell’uomo moderno, figure che non hanno un volto né altro dettaglio fisico che non sia il contorno. Non sono né eroi né personaggi illustri, sono sagome, spesso bianche, talvolta rosse, che solo per convenzione possiamo chiamare guerrieri o danzatori a rappresentare metaforicamente il dualismo insito nella vita stessa con la sua alternanza fra bene e male, i momenti duri, ma anche l’infinita leggerezza dell’essere. In virtù del suo carattere ludico e della sua ironia, l’opera di Tresin riesce a rendere accessibile il proprio messaggio, che è un messaggio di impegno sociale, un invito a riflettere sui valori che la società contemporanea esprime. Attraverso un particolare meccanismo logico, Tresin innesca una comunicazione a più livelli fatta di codici cifrati e di segni-simbolo, dalla cui lettura derivano una o più soluzioni. L’autore si ferma a riflettere sul mondo dei consumi, sulla velocità frenetica con cui oggi tutto si consuma e si svuota di significato, affetti, cultura, oggetti.
Nei suoi lavori trovano così ampio spazio i codici a barre, i microchips, le geometrie ad incastro, e ogni genere di elemento tratto dal linguaggio del computer o della grafica pubblicitaria. Lo scopo è quello di promuovere una riflessione e indurre a cercare qualcosa d’altro al di sotto della pelle dell’opera. Offrire più livelli di lettura dell’opera d’arte è uno degli obiettivi di Tresin, per cui ogni segno, ogni oggetto, ogni forma vive una vita propria all’interno dell’opera ma suggerisce anche letture inedite nell’insieme simbolico della composizione. Il pensiero e l’agire dell’uomo occidentale sono sempre più influenzati dal linguaggio delle macchine. Da questa considerazione nasce la serie dei Biomeccano, opere che contengono la vita espressa attraverso forme geometriche, e dove il riferimento al computer e alla macchina è presente, ma come dato puramente esteriore. L’opera di Tresin stimola una riflessione, ma mentre indica una soluzione, contemporaneamente suggerisce altre possibili strade. Nei lavori più recenti è presente un ritorno alla figurazione, attuato mediante un lavoro di contaminazione tra la pratica manuale e il linguaggio dei mass media. Sono presenti elementi iconici, che si esprimono mediante frammenti di un’umanità fatta di sguardi, sospesi in una deriva virtuale dove ancora una volta sono le geometrie e i linguaggi informatici a suggerirne la lettura. La pittura di Tresin è qualcosa di mobile e in continuo divenire, che esprime il bisogno di indagare e scoprire la modernità senza pregiudizi, in maniera libera e aperta. La ricerca è caratteristica principale nell’autenticità della sua passione pittorica, insieme ad un solido impianto culturale. Questi elementi conferiscono alla sua opera una fresca originalità che si affranca dalla ripetizione di schemi tradizionali per diventare una ricerca che si lega sì al tempo, ma sa rimanere aperta a nuove definizioni.
2002 – Lucia Mayer